LA VIA DEL CAMBIAMENTO
Cosa significa guarire? Ma prima di tutto perché ci si ammala? In queste
due domande c'è il senso di secoli e secoli di ricerca, di millenni di
constatazioni e valutazioni empiriche, in queste due domande potremmo
dire c'è il senso della vita. Da sempre l'uomo ha bisogno di essere
ascoltato, di raccontare le sue sofferenze, i suoi drammi, le sue
angosce. Da sempre l'uomo cerca nell'altro, molto prima della nascita
della psicanalisi, un alter ego sul quale riversare i propri dolori, i
propri dubbi, le proprie emozioni. ...E nel mondo delle emozioni
dobbiamo penetrere, in quel mondo delicato dobbiamo cercare risposte,
comprendere meccanismi d'azione, interpretare sintomi. Perchè una
cellula che si è sempre replicata in un determinato modo ad un tratto lo
fa in maniera aberrante? Perchè una parte del mio corpo in un preciso
momento comincia a produrre anticorpi contro se stesso
non riconoscendolo più come "self", come proprio? E perchè se tanti di
noi siamo a contatto con la stessa carica infettiva solo alcuni
sviluperanno la malattia che si manifesterà in modi diversi in ognuno?
IO DA MEDICO NON SO RISPONDERE... Per anni ho cercato di comprendere il
segreto meraviglioso che c'è dietro la guarigione, ho tentato di
cogliere il senso più profondo del termine "guarire", ho iniziato un
percorso culturale, sperimentale, di ricerca che mi ha condotto ai piedi
di quella che ho definito Medicina Energo-Spirituale. Non possiamo
delegare ai farmaci chimici il ruolo delicato del ripristino della
nostra interezza psico-fisica. Sul poco lastricato sentiero che ho
intrapreso ho imparato che ognuno se vuole Guarire deve Cambiare. Quindi
una Medicina del Cambiamento, una medicina per l'uomo, che parla
all'uomo, che tratta dell'uomo. In questo algoritmo l'unico valore che
si può esprime è l'uomo, ed è da lì che dobbiamo ripartire. Dobbiamo
riprendere a viaggiare nelle nostre emozioni, nel nostro passato, nel
senso di inadeguatezza del presente, in quella sottile malinconia ed
incertezza per il futuro. Cambiare significa abbattere il totem delle
convinzioni, delle certezze, delle risposte stampate nelle linee guida.
Un celebre koan racconta di quell' Uomo che si rivolse al Maestro per
essere introdotto sulla strada verso la Conoscenza. Questi prima di
cominciare gli volle offrire del thè. Lentamente cominciò a riempire la
tazza fino all'orlo, e ancora oltre, ed ancora fino a che il suo ospite
gli chiese stupito perchè versasse il thè fuori dalla tazza. Allora il
Maestro: "Tu sei pieno come questa tazza...non può entrare nulla in te
se prima non ti svuoterai.." Quanti di noi oggi hanno realmente il
coraggio di "svuotarsi"? Quanti riescono a spogliarsi da tutte quelle
convinzioni che sono il leit-motiv della nostra vita. Una vita che ha
perso i valori essenziali, non conosce cosa sia la consapevolezza,
l'essenza, la vera natura delle cose e lascia che i propri sensi vengano
incantati da qualche falsa percezione amaliatrice. Cominciamo, quindi, a
ritornare da dove non siamo mai partiti, ovvere dal proprio IO, da quel
SE' lontano anni luce da come siamo oggi, così disincantati e
schiacciati dalle angosce del passato e le fobie del futuro. FERMIAMOCI.
Ascoltiamo la voce del silenzio, facciamo spazio al silenzio e restiamo
in ascolto del rumore della nostra anima, dei turbamenti della nostra
mente ed andiamo oltre...oltre, verso una quiete meditativa che ci
regali la pace. E la pace la troviamo soltanto nel presente, nel qui ed
ora, nell' "hic et nunc". La troviamo dove il tempo non esiste, la
troviamo dove il passato è passato, irrimediabilmente passato e non può
più interferire con i nostri giorni ed il futuro, il futuro non c'è, e
forse potrebbe non esserci mai. In questa realtà l'unica cosa vera,
l'unica entità tangibile è il presente, e nel presente dobbiamo trovare
la forza per ESSERE. Nella propria consapevolezza verbale, cenestesica,
visiva, firmando un atto d'amore verso se stessi. Amandoci semplicemente
un po' di più...sfiorando il nostro corpo con la nostra intenzionalità,
essere presenti a se stessi, proprio come quella "presenzialità" tanto
cara a certi filosofi del passato. Ed allora restare nel qui ed ora
significa ascoltare il proprio corpo, ascoltare il rumore dei propri
passi per strada, essere consapevoli della propria postura, del proprio
respiro, dei mutamenti della gabbia toracica quando l'aria entra ed esce
durante la respirazione, in una parola vivere l'istante, cogliere
l'attimo amandolo, amandolo come unico, come irripetibile, perchè c'è
solo quell'attimo, perchè nulla vive al di fuori di esso, perchè è lui
inizio e fine, è lui incipit assoluto di qualunque avvenimento.
ritornare, per esempio, a dare valore alla quotidianità, alle banalità
della vità di tutti i giorni, perchè non sono mai banali, sono
semplicemente nostre!... dare un senso ad un sorriso, una stretta di
mano, una parola...non perdere nel grande caleidoscopio massificante e
destrutturante del tempo nemmeno un atto inspiratorio solamente perchè
mi appartiene, e così com'è, è irripetibile...E poi riuscire ad
emozionarsi, emozionarsi per nulla, ma per quel nulla che contiene il
germe del tutto, il tratto inconfondibile della nascita, della vita: il
sole che sorge, un fiore che sboccia, la tranquilla imponenza di una
goccia di rugiada, la meraviglia di un campo di grano, i grilli, il
mare...Emozionarsi significa abbandonare la nostra stanca e sterile
visione delle cose, inseguire gli aquiloni che abbiamo lasciato volare e
non cercato più, sapere che nulla mai è uguale a se stesso ed anche la
sofferenza fa parte di noi, anche la sofferenza è nostra e ci rende
unici, anche un disagio ci fa sentire diversi e solo la sua
accettazione, porta con sè il suo superamento. Essere nelle cose...
essere le cose, una sorta di nuovo panteismo, dove tutto è uno, e noi
siamo tutto, dove inizio e fine sono una sola cosa, perchè semplicemente
il tempo non esiste e quindi passato e futuro sono solo un aspetto
diverso, un nome differente che possiamo o vogliamo dare al presente. un
nuovo panteismo che non può separarci dalle emozioni, che non può
dividerci dalle cose, che non può allontanarci dalle emozioni che le
cose provocano in noi, per comprendere che poi quelle cose, quelle
emozioni, e noi siamo esattamente la stessa cosa, o semplicemente una
diversa percezione di noi stessi, in un'ottica più complessa, in
un'ottica più globale, in un'ottica che potremmo definire olistica. Ed
allora usiamo pure questo aggettivo, senza aver paura di essere travolti
dalla moda delle parole, (ci sono termini molto in voga oggi, olismo con
tutte le sue accezioni, è uno di questi) usiamolo non solo verbalmente,
ma tuffiamoci dentro, sentiamolo sulla pelle, testimoniamolo.
Testimoniamolo con il nostro panteismo, facciamo che EGO e RES siano una
cosa sola, si fondano, si rincorrano, si penetrino... |